Approfondimenti

1. IL SUPERCONDOMINIO NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA

1. IL SUPERCONDOMINIO NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA

 

1.1 - La riforma del condominio: legge n. 220/2012

 

Recentemente la vita negli edifici in cui vivono circa trenta milioni di italiani è cambiata. Il 18 giugno è entrata in vigore, infatti, la riforma del condominio varata con la Legge 11 dicembre 2012, n. 220 recante “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”. Le novità previste riguardano gli amministratori, le assemblee e i quorum necessari per le delibere, la gestione finanziaria del condominio, ma anche nuovi aspetti, come l’ingresso nel mondo del web o l’utilizzo delle parabole per la ricezione del segnale televisivo.

 

Dopo una gestazione di circa 2 anni, lo scorso 17 settembre è approdato all’esame della Camera il provvedimento di riforma della materia condominiale, approvato dalla Commissione giustizia del Senato il 20 novembre e pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 293 del 17 dicembre 2012

 


 

Si tratta di un provvedimento a suo modo storico perché arriva a settant’anni dalla principale disciplina della materia, contenuta negli articoli 1117 e ss del codice civile del 1942. Finora, il compito di interpretare l'enorme casistica prodotta dalla prassi in modo conforme alle disposizioni richiamate, era spettato alla giurisprudenza. Il recente intervento normativo cerca di adeguare alla realtà odierna le principali norme in materia, le quali ormai da una decina di anni includono i supercondomini, cui si applica la nuova disciplina (nuovo art. 1117-bis).

 

L’ambiente relazionale e giuridico del condominio, caratterizzato da elevata conflittualità, è costituito da molteplici regole ed altrettante eccezioni, che producono una casistica davvero notevole e complessa da gestire.

 

Fino ad ora non si era mai messo mano ad una riforma organica della materia che, di conseguenza, si basava su norme ormai obsolete in virtù dei cambiamenti sociali e tecnologici avvenuti a ritmo incalzante negli ultimi anni.

 

La questione dell’assenza di capacità giuridica del condominio resta immutata anche dopo il recente intervento legislativo. La Commissione giustizia senato ha ritenuto di salvaguardare piuttosto l’assoluta prevalenza dell’autonomia funzionale ed economica delle singole unità abitative. Questa valutazione tiene conto del fatto che da un lato nella maggior parte dei casi sarebbe apparsa ontologicamente impossibile l’attribuzione al condominio di un autonomo patrimonio quale presupposto dell’attribuzione ad esso della capacità giuridica e, dall’altro, che l’estensione al condominio di un regime gestionale analogo a quello previsto per le società avrebbe potuto determinare il pericolo di una gravissima compressione del diritto di proprietà per i condomini in minoranza, cosa tanto più grave laddove, ad esempio, un solo soggetto sia proprietario di più della metà di un complesso edilizio con una pluralità di condomini.

 

Se dal punto di vista strictu sensu giuridico il condominio resta privo della personalità giuridica, esso, in ragione delle innovazioni tecnologiche e tecniche e dei cambiamenti dei modelli di insediamento abitativo, viene riorganizzato come un ente di gestione avente una propria identità.

 

È quanto emerge, ad esempio, dalla previsione di un apposito registro di anagrafe condominiale, come pure dalla disposizione che prevede che tutti i flussi finanziari del condominio (sia in entrata che in uscita) devono obbligatoriamente transitare attraverso un apposito conto corrente intestato al condominio stesso.

 

Significativa al riguardo è, poi, la possibilità di nomina di un consiglio condominiale di tre membri (sempreché l’edificio abbia più di undici unità immobiliari) con funzioni consultive e di controllo sull’operato dell’amministratore, nonché l’eventualità di attivare un sito web condominiale, nel quale esportare i dati contabili e i verbali, su richiesta dell’assemblea. L’esigenza che si vuole in tal modo soddisfare è quella della trasparenza e tracciabilità della gestione, come emerge anche dal diritto di accesso agli atti (ossia dal diritto dei singoli condòmini di accedere ai documenti del condominio, accuratamente conservati dall’amministratore, e di ottenerne copia), nonché dal diritto di richiedere (sempre all’amministratore) informazioni sullo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e sulle eventuali liti pendenti.

 

Altrettanto avvertita è la necessità di apertura della realtà condominiale alle nuove tecnologie: oltre alla suddetta possibile attivazione di un sito web condominiale, è prevista l’eventualità di installare impianti di energia da fonti rinnovabili sulle parti comuni (esempio sui tetti), anche se destinati ad alimentare singole unità immobiliari. L’assemblea in tale circostanza può effettuare solo un’attività di controllo, non dovendo quindi rilasciare autorizzazioni.

 

Di rilievo risulta essere, altresì, la possibilità di modificare le destinazioni d’uso delle parti comuni, al fine di soddisfare esigenze di interesse condominiale: tale possibilità è riservata all'assemblea, che vi provvede con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio (art. 1117-ter). Allo stesso tempo, il legislatore ha ritenuto opportuno presidiare la tutela delle destinazioni d'uso (art. 1117-quater) precisando che, in caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore od i condòmini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. 

 

 

 

1.2 - Come cambia la figura dell’amministratore di condominio

 

Chiamato a gestire la complessa comunione abitativa è l’amministratore, la cui figura è stata fortemente incisa dalla novella legislativa. Da una parte il ruolo si professionalizza e qualifica: si richiedono, infatti, tra le altre cose, il diploma di scuola secondaria di secondo grado, la partecipazione a corsi di formazione e aggiornamento, l’assenza di precedenti penali e misure cautelari; dall’altra aumentano le sue prerogative e i suoi obblighi: l’amministratore ad esempio è tenuto ad agire per la riscossione forzata dei crediti condominiali, tenere i registri contabili e di anagrafe condominiale, sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi per un semestre, stipulare, su richiesta dell’assemblea, una polizza di assicurazione per la responsabilità civile relativamente agli atti compiuti nell’esercizio del mandato (artt. 1129, 1130 e 1130-bis c.c.).

 

Altri profili di novità introdotti dalla riforma sono i seguenti:

 

a)indicazione più completa, anche se non tassativa,parti comuni dell’edificio, tra le quali è esplicitamente ricompreso il sottotetto destinato (se presente), per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune

 

b)specifica ed aggiornata previsione dell’ambito didella disciplina condominiale, la quale, come detto supra, si applica al supercondominio (ex art. 1117 bis), finora istituto d’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, nonché al fenomeno della multiproprietà immobiliare

 

c)specifica previsione delle condizioni (da tempo individuate dalla giurisprudenza) che giustificanodistacco  del singolo condomino dall’impianto centralizzato di riscaldamento

 

d)possibilità di introdurreinnovazioni con una maggioranza meno elevata di quella prevista attualmente dal codice civile. In generale, si tratta di innovazioni destinate al miglioramento, alla salubrità o all’uso più comodo delle cose comuni, come l’eliminazione delle barriere architettoniche o l’installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni dell’edificio

 

e)previsione che i regolamenti condominiali non potranno in alcun modo vietare il possesso o la detenzioneanimali domestici da parte di singoli condòmini

 

f)nuove regolecostituzione dell’assemblea e sulla validità delle deliberazioni, di cui sono abbassati i quorum

 

Dall’esame della riforma emerge, indubbiamente, la volontà di definire un profilo più responsabile e trasparente della gestione condominiale, nell’esclusivo interesse dei condomini ed a garanzia degli interessi di terzi, in modo che il ruolo e le funzioni dell’amministratore ne escano rafforzati ed al tempo stesso possano essere più agevolmente controllati dai condomini.

 

Alla luce di quanto finora detto, fare oggi l’amministratore è un’esperienza affascinante ma molto impegnativa e gravida di responsabilità.

 

Occorre avere indispensabili conoscenze tecniche ed un’idonea valutazione costo-beneficio per poter adeguatamente consigliare i condomini. La nuova figura dell’amministratore va reinventata, interpretando le esigenze della società civile, facendosi portatore di una nuova cultura della casa.

 

 

 

Dall’operato dell’amministratore dipende la serenità della vita familiare e di relazione e ciò che concerne le esigenze primarie ed essenziali 

 

Il condominio è il piccolo ingranaggio di una macchina sempre più complessa, di micro e macro sistemi sociali integrati; è una micro società con le sue regole. Per tale motivo la sua buona riuscita dipende dalla collaborazione, dalla trasparenza e dalla capacità di promuovere il benessere della società tramite la soddisfazione degli interessi del singolo.

 

1.3 - Il decreto legge n. 145 del 23 dicembre 2013: modifiche alla l. n. 220/2012

 

Il decreto legge “Destinazione Italia” n. 145 del 23 dicembre 2013 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 300 in pari data), entrato in vigore il giorno successivo, ha apportato, tra le altre cose, alcune significative modifiche alla legge di riforma della disciplina del condominio negli edifici. Nello specifico, l’articolo 1 comma 9 del citato d.l., ha introdotto le novità di seguito analizzate:

 

 

 

a) accantonamento dei fondi per interventi straordinari

 

L’articolo 13 della legge 220/2012 aveva modificato l’art. 1135 del codice civile disponendo al n.4 del comma 1 che “l’assemblea dei condomini provvede alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori”.

 

 

 

Tale norma aveva lo scopo di razionalizzare la programmazione degli interventi di carattere straordinario, di regola assai impegnativi sotto il profilo finanziario, aumentando le garanzie di puntualità nei pagamenti a vantaggio sia degli appaltatori che degli stessi condomini, cercando di evitare l’avvio di opere per le quali non fosse interamente garantita la copertura di spesa.
Tale intendimento si è, tuttavia, scontrato con gli effetti della grave crisi economico-finanziaria in corso ed ha finito talvolta con il paralizzare, ostacolare o rendere ancora più impegnativi per i condomini proprio quegli interventi la cui effettuazione avrebbe invece determinato importanti opportunità di lavoro per le imprese del settore.

 

 

 

La modifica ora apportata dal decreto legge in esame ha pertanto introdotto un importante correttivo, già ipotizzato dalla dottrina e nella pratica, attraverso un’aggiunta al punto 4 dell’art. 1135 del Codice civile, grazie alla quale viene espressamente previsto che “se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti”.

 

 

 

b) attività di formazione degli amministratori condominiali

 

È stato stabilito che con Regolamento del Ministro della Giustizia saranno determinati i requisiti necessari per esercitare l’attività di formazione degli amministratori di condominio nonché i criteri, i contenuti e le modalità di svolgimento dei corsi della formazione iniziale e periodica prevista dall'art. 71-bis, 1° comma, lettera g), delle disposizioni di attuazione del codice civile.

 

 

 

c) maggioranze assembleari per le delibere condominiali per il risparmio energetico

 

La formulazione dell’art. 1120 c.c. anteriore all’entrata in vigore del decreto legge prevedeva, che “I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’art. 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.

 

 

 

I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136 (cioè con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio), possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:

 

 1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti

 

2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio, nonché per la produzione di energia mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune;

 

3) l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.

 

 

 

L’amministratore è tenuto a convocare l’assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all’adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma. La richiesta deve contenere l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l’amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni.

 

 

 

Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.”

 

L’art.1 del decreto legge ha abrogato al comma 2, n. 2 c.c. le parole per il contenimento del consumo energetico degli edifici.

 

 

 

Questa soppressione ha delle ripercussioni procedurali in relazione alle delibere assembleari inerenti alla materia delle misure di contenimento energetico. L’adozione di queste misure è ora favorita in quanto viene meno l’obbligo di deliberarle, sempre e comunque, con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’art. 1136 c.c., ossia con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

 

D’ora in avanti, invece, si applicherà a tali interventi il più favorevole disposto dell’art. 1136 co. 3 c.c., per effetto del quale “[…]La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio”.

 

 

 

d) registro di anagrafe condominiale e informazioni sulle condizioni di sicurezza degli edifici

 

Altra novità apportata alla legge di riforma del condominio, riguarda un’integrazione all’art. 1130, comma 1, n. 6 c.c., già modificato dalla legge n. 220/2012, secondo il quale l’amministratore condominiale deve, tra l’altro, “curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza.”.

 

Il decreto legge inserisce la precisazione “delle parti comuni dell’edificio”, il che delimita l’ambito dell’informativa oggetto del registro di anagrafe condominiale ai dati relativi alle condizioni di sicurezza delle sole parti comuni condominiali e non anche a quelli delle porzioni di proprietà esclusiva.

 

 

 

e) irrogazione di sanzioni condominiali

 

Un’ultima modifica introdotta dal d.l. n. 145/2013, riguarda l’articolo 70 disp. att. c.c., anch’esso già modificato dalla Legge 220/2012: sinora era stabilito che “Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie”.

 

In aggiunta alla citata disposizione è stata ora inserita la precisazione che “L’irrogazione della sanzione è deliberata dall’assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell’articolo 1136 del Codice”: occorrerà, in sostanza, un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio.

 

 

 


1.4 - Un nuovo istituto: il supercondominio

 

La nuova normativa in vigore dal 17 giugno 2013 non definisce ancora il supercondominio ma vale a descrivere le tipologie strutturali in cui può articolarsi tale termine di recentissimo conio, come anche ad individuare la disciplina ad esso applicabile.

 

L’art. 1117 bis c.c.[1] individua i casi  tipici di “più unità immobiliari o più edifici,  ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici che abbiano parti in comune”; mentre,  sul versante della disciplina di riferimento, viene disposta l’applicazione delle disposizioni relative a singoli istituti del condominio complesso.

 

Vi è un complesso di norme particolarmente rilevanti applicabili al condominio complesso, tra le quali, a titolo esemplificativo, vi sono quelle attinenti: alla gestione dei servizi in comune (art. 1117 n. 2 c.c); alle spese necessarie per la conservazione e il godimento della cosa comune (art. 1123 comma 1 c.c); alle spese necessarie per la manutenzione del medesimo bene comune (art. 1130 n. 3 c.c.).

 

 

 

1.4.1 - La costituzione del supercondominio

 

Ai fini della costituzione di un supercondominio non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio poiché è sufficiente che i singoli edifici abbiano materialmente in comune alcuni impianti o servizi ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 1117 c.c.

 

Il supercondominio, si costituisce di fatto, se il titolo non dispone altrimenti. Ovviamente il supercondominio può trovare origine anche nella volontà del singolo originario proprietario, in genere il costruttore, o in una manifestazione di volontà successivamente espressa (quindi in forma scritta).

 

 

 

1.4.2 – L’assemblea

 

Il novellato articolo 67 delle disposizioni di attuazione al codice civile individua alcuni tratti specifici della disciplina relativa all’assemblea del supercondominio, disponendo come vi sia una sostanziale differenza tra i casi in cui vi siano complessivamente più di sessanta partecipanti ed i casi in cui i partecipanti siano in numero di sessanta o inferiore ad esso.

 

Quando sono presenti meno di sessanta partecipanti, ciascuno dei condomini ha la facoltà di intervenire direttamente nell’assemblea della “superstruttura” o di farsi rappresentare per delega come anche dispone del potere di impugnativa delle delibere che lo vedono assente o dissenziente.

 

Quando invece i partecipanti all’assemblea sono più di sessanta, ciascun condominio, ai fini della gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e ai fini della nomina dell’amministratore, “deve” designare obbligatoriamente il proprio rappresentante nell’organo deliberativo del condominio complesso. Il rappresentante può essere scelto anche al di fuori della organizzazione condominiale ed è nominato con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno due terzi dell’edificio. Il rappresentante risponde per la sua attività secondo le regole del “mandato”. Il rappresentante è titolare di un potere-dovere di coordinamento tra singoli condomini e supercondominio; egli, infatti, dovrà comunicare tempestivamente all’amministratore del singolo condominio l’ordine del giorno e le decisioni assunte dall’assemblea unitaria affinché quest’ultimo possa riferire in materia alle assemblee delle singole unità immobiliari. In mancanza di nomina assembleare deliberata nell’ambito del singolo condominio,  ciascun condòmino può, con ricorso, adire l’autorità giudiziaria affinché nomini il rappresentante del proprio condominio. Qualora alcuni dei condominii interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante,  il potere di adire con ricorso l’autorità giudiziaria spetta anche al singolo rappresentante già nominato,  previa diffida  a provvedervi indirizzata all’amministratore del singolo condominio o ai singoli condòmini.  A questi soggetti dovrà essere notificata, inoltre, copia del ricorso presentato e, successivamente, copia del provvedimento emanato dall’organo giurisdizionale adito. L’autorità giudiziaria provvede alla nomina del rappresentante in sede di volontaria giurisdizione, in camera di consiglio. Il giudice competente è, ai sensi dell’art. 1105 c.c.,  il Tribunale del luogo in cui è sito il complesso condominiale.

 

 

 

1.4.3 – Il regolamento del supercondominio

 

L’art. 1138 c.c. dispone che, quando in un edificio il numero dei condòmini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento contenente norme che disciplinino l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese. Il supercondominio di frequente supererà questa soglia dimensionale e la relativa organizzazione sarà quindi disciplinata da uno specifico regolamento supercondominiale che si affianca a quelli dei singoli condominii. Il regolamento può essere predisposto in via unilaterale dall’unico originario proprietario che, in genere, è il costruttore dell’intero sistema edilizio e in questi casi l’originario proprietario farà sottoscrivere il regolamento ad ogni acquirente dell’unità immobiliare, per cui tale documento organizzatorio, sarà obbligatorio per l’acquirente medesimo e per i suoi aventi causa. Anche l’assemblea può deliberare  la costituzione di un supercondominio.

 

Il regolamento ha un contenuto tipico e necessario, che si articola nella previsione di norme attinenti all’uso delle cose comuni e alla ripartizione delle spese da effettuarsi secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condòmino, nonché in norme dettate per la tutela del decoro dell'edificio e relative all'amministrazione del medesimo. Nella struttura supercondominiale il regolamento può inoltre prevedere pattuizioni particolari attinenti a specifiche destinazioni della cosa comune, alla costituzione di diritti reali di godimento, come, ad esempio, diritti di servitù, salvo l’impossibilità, per le norme regolamentari, di poter  in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino quali risultano dagli atti di acquisto o da  successive deliberazioni assembleari.

 

1.4.4 – Lo scioglimento del supercondominio

 

Specifiche disposizioni normative contenute negli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. regolano lo scioglimento della struttura supercondominiale. Lo scioglimento è deliberato dall’assemblea con le maggioranze previste dall’art. 1136 secondo comma c.c. e può essere altresì disposto dall’autorità giudiziaria  su domanda giudiziale dei comproprietari che rappresentino almeno un terzo di quella parte di condominio di cui si chiede la separazione.

 

 

 

2. MEDIAZIONE IN MATERIA DI SUPERCONDOMINIO

 

 

 

2.1 - Il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 (“Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”) e la sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 6 dicembre 2012.

 

 

 

La materia del condominio è stata interessata, negli ultimi tre anni, dall’introduzione del tentativo obbligatorio di mediazione previsto, inizialmente, dal d.lgs n. 28/2010 e, da ultimo, a seguito della sentenza Corte Cost. n. 272/2012, dalla legge n. 98/2013.

 

Per “mediazione”, ai sensi dell' art.1, decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, si intende l’attività svolta da un terzo imparziale chiamato ad assistere le parti al fine di raggiungere un accordo amichevole per la composizione della controversia, al di fuori delle procedure giudiziarie; per “conciliazione” , invece, si intende l’esito positivo del procedimento di mediazione. Quindi se la mediazione è il "mezzo", la conciliazione è il "fine". L’attività di mediazione è affidata ad appositi organismi di conciliazione, iscritti in un registro tenuto dal Ministero della Giustizia, disciplinato dal D.M. 180/2010; essa non preclude l’azione ordinaria. L’oggetto della mediazione viene circoscritto alle controversie civili e commerciali che abbiano ad oggetto diritti disponibili delle parti (articolo 2).

 

 

 

Secondo il dettato del decreto, il tentativo di mediazione rivestiva carattere obbligatorio, e quindi condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria, anche se solo in relazione ad alcune specifiche categorie di controversie, elencate nell’articolo 5, comma 1[2], il quale è stato oggetto di pronuncia di incostituzionalità dalla sentenza della Corte costituzionale n. 272/2012. La declaratoria d’illegittimità è avvenuta per eccesso rispetto alla delega contenuta nell’articolo 60 della legge 18 marzo 2009 n. 69 .

 

Si legge in particolare nella motivazione della sentenza che la c.d. mediazione obbligatoria “delinea un istituto a carattere generale, destinato ad operare per un numero consistente di controversie, in relazione alle quali, però, […], il carattere dell’obbligatorietà per la mediazione non trova alcun ancoraggio nella legge delega”.

 

Nella scelta delle tipologie di controversie da sottoporre obbligatoriamente al tentativo di mediazione, il Governo si era attenuto ad alcuni criteri fra cui rapporti destinati a prolungarsi nel tempo o in cui sono coinvolti soggetti appartenenti alla stessa famiglia, gruppo sociale o area territoriale, per i quali appaiono preferibili soluzioni extragiudiziali che meglio consentono la prosecuzione del rapporto (condominio, locazione, comodato, affitto di azienda, diritti reali, divisione, successioni, patto di famiglia).


 

2.1.1 - La procedura di mediazione

 

Per la disciplina di dettaglio, il decreto legislativo rinvia al regolamento dell’organismo scelto dalle parti per la disciplina di dettaglio, nell’ assenza di formalità per gli atti del procedimento e nella possibilità che esso si svolga secondo modalità telematiche (articolo 3). La domanda di mediazione viene presentata mediante deposito di un’istanza presso un qualsiasi organismo di conciliazione, senza indicare criteri di competenza territoriale: al riguardo è importante ricordare come gravi sull’avvocato un obbligo di informazione nei confronti del cliente, già all’atto del conferimento dell’incarico, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione (articolo 4).

 

Ricevuta la domanda, spetta al responsabile dell'organismo di conciliazione designare un mediatore nonché eventuali mediatori ausiliari per le controversie che richiedono specifiche competenze tecniche ovvero, eventualmente, esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il mediatore fissa il primo incontro tra le parti non oltre 15 giorni dal deposito della domanda.

 

La durata massima del procedimento è fissata in 4 mesi, calcolati dalla data di deposito della domanda di mediazione (articolo 6).

 

Il decreto legislativo individua specifici obblighi a carico del mediatore, tra i quali il divieto di assumere obblighi e diritti connessi agli affari oggetto della mediazione nonché di percepire compensi direttamente dalle parti; la disciplina dei requisiti professionali del mediatore non è contenuta direttamente nel decreto legislativo, ma nel Decreto Ministeriale attuativo n. 180/2010.

 

Il procedimento di mediazione è protetto da norme che assicurano alle parti la tutela della riservatezza rispetto alle dichiarazioni e alle informazioni emerse. Tali informazioni non possono essere utilizzate in sede processuale, salvo esplicito consenso delle parti, e il mediatore è tenuto al segreto professionale su di esse. Quando il mediatore svolge sessioni separate con le singole parti, non può rivelare alcuna informazione, acquisita durante tali sessioni, all’altra parte.

 

La finalità della previsione, propria delle esperienze comparate a livello internazionale, è finalizzata a consentire alle parti di svelare ogni dato utile al compromesso, senza timore che poi possa essere oggetto di un uso contro la parte medesima; le parti si sentono così libere di manifestare i loro reali interessi davanti a un soggetto terzo, dotato di adeguata preparazione per comporre la controversia e tenuto all’assoluto riserbo.

 

 

2.1.2 - L'esito della procedura

 

 

I possibili risultati della mediazione sono i seguenti:

 

a) raggiungimento di un accordo amichevole: il mediatore forma il processo verbale, al quale è allegato l’accordo sottoscritto dalle parti;

 

b) mancato raggiungimento dell’accordo: in tal caso, il mediatore prima è tenuto ad informare le parti sulle conseguenze di un eventuale rifiuto in relazione alla possibile impossibilità di ripetizione delle spese processuali e poi formula una proposta di conciliazione, che viene comunicata per iscritto alle parti. Queste hanno sette giorni di tempo per accettarla o rifiutarla. Il silenzio equivale al dissenso.

 

Se le parti accettano la proposta, sulla stessa si forma il processo verbale.

 

In caso contrario, il mediatore redige comunque il verbale di mancato accordo - depositandolo presso l’organismo di conciliazione - che conterrà l’enunciazione della proposta e delle ragioni dell’insuccesso, dando eventualmente atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione.

 

Nel caso di fallimento della mediazione per mancata accettazione della proposta, si prevede una disciplina speciale delle spese del successivo giudizio civile: in particolare, a carico della parte vincitrice che non abbia accettato una proposta di mediazione integralmente corrispondente al successivo provvedimento giudiziario, sono previste l’imputazione delle spese processuali e la condanna a versare allo Stato, a titolo di sanzione processuale, una somma commisurata al contributo unificato, ex articolo 13 del decreto legislativo 28/2010.

 

Il decreto legislativo prevede che dalla ingiustificata mancata partecipazione al procedimento di mediazione, il giudice possa desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.

 

Il verbale contenente l’accordo tra le parti è omologato con decreto del presidente del Tribunale e costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca.

 

 

2.2 - Il decreto legge “del fare” (n. 69/2013) e la legge di conversione n. 98 del 9 agosto 2013

 

Il Decreto Legge n. 69 del 21 giugno 2013, convertito in legge n. 98 del 9 agosto 2013, costituisce l’attuazione di quanto contenuto nelle Raccomandazioni della Commissione europea, presentate il 29 maggio 2013.

 

Il D.L. è suddiviso in tre Titoli, di cui il Terzo è dedicato specificamente alle “Misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile”: in sostanza, come esplicato nella Relazione Illustrativa del D.L.[3], vengono introdotte nell’ordinamento giuridico delle disposizioni idonee a consentire la riduzione del contenzioso civile pendente, attraverso l’adozione di “rimedi specificamente volti ad implementare l’efficienza del sistema giudiziario civile.” La ratio sottesa all’introduzione delle disposizioni relative alla mediazione, risiede nella circostanza che il sistema della giustizia civile nel nostro ordinamento “costituisce il tallone d’Achille del nostro sistema economico, collocando l’Italia al 158º posto nel ranking enforcing contracts, con una durata media delle procedure di recupero del credito di 1.210 giorni ed un costo pari al 29,9% del credito azionato”. A ciò si deve aggiungere l’aumento delle condanne riportate dallo Stato per la violazione del termine di ragionevole durata del processo .

 

Il costante incremento delle pendenze nel sistema civile ha causato una paralisi dello stesso comportando, oltre all’allungamento dei tempi di risoluzione delle controversie, anche una ingente immobilizzazione di risorse patrimoniali, disincentivando altresì gli investimenti stranieri. Mediante una significativa accelerazione del sistema giudiziario civile, viceversa, si potrebbe trasformare in un volano per la crescita economica ciò che attualmente è un fattore di crisi, costituendo un naturale disincentivo a comportamenti ostruzionistici nelle ordinarie dinamiche contrattuali. L’iniziativa del Governo in questa sede mira ad incrementare l’efficienza del sistema giudiziario civile in un duplice modo: da un lato, mediante l’adozione di rimedi processuali tendenti a una razionalizzazione delle risorse esistenti; dall’altro lato, attraverso un apporto temporaneo di energie intellettuali esterne al sistema, che si affiancano a quelle del giudice nella gestione e nella decisione della controversia.

 

Fra le misure rientranti nel primo gruppo di iniziative, vi è il ripristino della c.d. mediazione obbligatoria introdotta dal decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, prima della declaratoria d’incostituzionalità.

 

Alla luce delle modificazioni introdotte tramite la legge n. 98/2013 al d.lgs. n. 28/2010, il nuovo comma 1-bis dispone nuovamente, e con minime differenze rispetto all’abrogato comma 1 che “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale[…].”

 

 

 

Roma, 09 gennaio 2014

 

                                                                                      

 

Hanno collaborato alla redazione:

 

- Enrico Molinaro, Ph. D.

 

Chairman, Mediterranean Perspectives

 

 

 

- Staff Diritto e Società

 

 

 


 

 

 

 

[1] Art. 1117- bis c.c.: “le disposizioni del presente Capo si applicano, in quanto compatibili, quando più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti che servono all’uso comune, quali aree, opere, installazioni e manufatti di qualunque genere”.

 

[2] L’art. 5.1 così recita: “Condizione di procedibilità e rapporti con il processo”:  Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.

 

[3] Cfr Relazione illustrativa, Titolo III, “Misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile”, pag. 96, (http://www.governo.it/backoffice/allegati/71696-8767.pdf).

 

 

 

 

La L.220/2012 prevede novità che riguarderanno gli amministratori, le assemblee e i quorum necessari per le delibere, la gestione finanziaria del condominio, ma anche nuovi aspetti, come l’ingresso nel mondo del web o l’utilizzo delle parabole per la ricezione del segnale televisivo.

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